Una delle prime definizioni di rintracciabilità viene riportata nel Regolamento CE n. 178/2002. Al punto 1 dell’articolo 18 di tale Regolamento è infatti scritto: “È disposta in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime”. Cosa intenda il legislatore per rintracciabilità degli alimenti è chiarito al punto 2 dello stesso articolo 18, in cui si dice che “gli operatori del settore alimentare devono essere in grado di individuare chi li abbia riforniti [della materia prima]“. E poi ancora al punto 3: “gli operatori del settore alimentare devono disporre sistemi per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti”.
Un’altra definizione di tracciabilità di filiera venne presentata durante una giornata di studio dedicata al tema che si tenne all’Accademia dei Georgofili di Firenze nel Maggio del 2000. In questa occasione, la tracciabilità di filiera venne definita come “l’identificazione delle aziende che hanno contribuito alla formazione di un dato prodotto alimentare basata sul monitoraggio dei flussi materiali dal campo alla tavola, cioè dal produttore della materia prima al consumatore finale”.
Il concetto che sopra presentato si basa sull’assunto che il controllo della filiera è credibile solo se “tracciabile” – cioè documentabile – e che la tracciabilità è efficace come garanzia soltanto se estesa a tutta la filiera. Da questa osservazione deriva che il soggetto protagonista della garanzia di filiera non è un’azienda soltanto, ma l’insieme delle aziende che contribuiscono alla realizzazione del prodotto finale. La tracciabilità di filiera propone dunque il più completo coinvolgimento delle vere responsabilità attraverso lo sviluppo di un modello di integrazione verticale tra le diverse aziende che ne fanno parte.
Naturalmente, alla tracciabilità sono spesso collegate specificità diverse del prodotto: dalla dichiarazione dell’origine all’applicazione di una tecnologia particolare, dalla dichiarazione di prodotti OGM-free (non modificati geneticamente) alla rivendicazione di purezza delle formulazioni (“minimo 97% di carne”, ad esempio). Si può anzi dire che la tracciabilità di filiera costituisce la più solida struttura documentale di supporto per ogni altra dichiarazione riguardante la qualità o la sicurezza dei prodotti. Ciò che è dunque essenziale ai fini della tracciabilità non è tanto l’origine geografica o il luogo della trasformazione o del confezionamento, quanto il nome delle aziende che hanno partecipato alla produzione e che si sono pertanto assunte la responsabilità del prodotto finale.
In sintesi si potrebbe dire che ciò che conta veramente è la “tracciabilità delle responsabilità”. Si comprende bene quale sia, sul piano giuridico e gestionale, l’importanza di una tale conoscenza nei casi in cui si debbano ricercare la cause di una non conformità, oppure nei casi in cui si debba isolare una filiera in situazioni di rischio per il consumatore.
L’elemento unificante del concetto di tracciabilità non è una specifica localizzazione territoriale, né uno specifico requisito di qualità del prodotto, né una specifica materia prima o tecnologia. L’elemento unificante del concetto di tracciabilità è il prodotto che viene offerto al consumatore finale. La tracciabilità deve essere riferibile a ogni singola porzione o confezione del prodotto. Essa deve infatti consentire di risalire a tutte le aziende che hanno avuto un ruolo critico nella formazione di quella specifica porzione o confezione. Si comprende anche che, intesa in questi termini, la tracciabilità di filiera rappresenta di per sé una garanzia interessante per il consumatore, anche in assenza di ulteriori specificazioni riguardanti la qualità, l’origine o l’adozione di tecniche particolari.
Naturalmente, questo effetto di garanzia diventa efficace soltanto se:
Per riassumere, potremmo dire che per tracciabilità si intende “l’identificazione di tutte le aziende che svolgono un ruolo critico nel corso della produzione e messa in vendita del prodotto”. Questa osservazione fa comprendere anche una seconda cosa importante per una ragionevole interpretazione della tracciabilità di filiera: e cioè che la filiera viene identificata e tracciata dal percorso dell’ingrediente o degli ingredienti principali, e non dal percorso di elementi secondari come additivi e coadiuvanti.
A sua volta, tracciare il percorso degli ingredienti significa monitorare i flussi materiali dalla produzione della materia prima alla vendita finale. Un problema che rappresenta l’aspetto tecnico e gestionale della tracciabilità: il monitoraggio dei flussi materiali è infatti il più basilare strumento di controllo dei processi. Un’azienda che è in grado di seguire i flussi materiali al suo interno e di identificare in ogni momento qualunque massa di materia prima, semilavorato o prodotto finito che si trovi nei confini della propria responsabilità, è un’azienda in grado di razionalizzare i processi, di isolare le cause di errore, di valutare i rendimenti di ogni fase e del processo nel suo insieme.